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Libri di S.R. Piccoli



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Breviario

Breviario del giovane politico
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Breviario del giovane politico / Sinossi


Il tempo, da quel grande illusionista che è, può fare in modo che gli eventi della storia e della vita degli uomini appaiano di volta in volta come qualcosa di nuovo e originale. Ma si tratta, appunto, di un'illusione, perché in realtà la sostanza non cambia o cambia di poco. Quindi una profonda intelligenza della propria epoca è applicabile alle successive e utilmente se ne possono avvalere coloro che vengono dopo. Machiavelli, Guicciardini e il cardinal Mazzarino, di cui questo volumetto ripropone alcuni aspetti dell'insegnamento politico, il proprio tempo lo conobbero fin troppo bene, e dunque possono guidarci nel presente e nel futuro.

Questa è una piccola antologia ragionata e criticamente annotata, da cui emerge un strano miscuglio di realismo e "levitas". Il tutto espresso con uno stile letterario e in una lingua che non esistono... Forse soltanto una semplice esercitazione di stile. O puro "divertissement", ma non senza qualche giustificazione nella natura stessa degli argomenti trattati, cioè nella loro intrinseca follia.

In ogni caso, la lettura di questo libricino è raccomandata ai giovani che vogliono cimentarsi con la politica attiva. Se dopo averlo letto, meditato e correttamente compreso non avranno cambiato idea, vorrà dire che sono perfettamente all'altezza della missione, oppure che sono degli eroi. In quest'ultimo caso, buona fortuna! Ne avranno bisogno.





Breviario del giovane politico / Recensioni

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  • Il Foglio di mercoledì 5 dicembre 2012, pag. 2 (vedi .pdf)

Il Foglio

"Breviario del giovane politico", di S. R. Piccoli (e-book, piattaforma Amazon, 76 pp., 7,42 euro)

"Tutto quello che è stato per el passato e è al presente, sarà ancora in futuro", scriveva Francesco Guicciardini. "Ma si mutano e' nomi e le superficie delle cose in modo, che chi non ha buono occhio non le riconosce, né sa pigliare regola o fare giudicio per mezzo di quella osservazione". "Alla sequela" dello stesso Guicciardini, di Machiavelli e del cardinale Mazzarino, tre "grandi che indagarono le cose dello stato e ne discoprirono i segreti, anteponendo la comprensione degli eventi, quali si dettero effettivamente a conoscere, senza aggiunte o sottrazioni, alla diceria e alla mera parvenza di essi", "dopo essersi umilmente posto l'autore di queste note, sono qui esortati a disporsi i giovani politici". "Dell'indagare gli altrui segreti e del celare i propri". "Ciò che vuoi che un altro taccia, tacilo tu per primo". "Del trattare con i potenti per ingraziarseli".

Insomma, il Principe alla fine della Seconda Repubblica. "L'ingiuria, al pari della calunnia, se ben impiegata, a tempo e luogo, e ben architettata, produce buoni e abbondanti frutti".

L'autore racconta che questo Breviario risale in realtà al 1995, e ciò depone a favore della tesi che, in politica, nulla si impara mai una volta per tutte. Egli stesso, spiega, lo ha scritto per guarire da una passione per la politica ormai ridotta ad "autentica repulsione".



Breviario del giovane politico è un breve trattato che chi ama o ha amato la politica dovrebbe leggere. A me è piaciuto per una serie di motivi.

Il primo è che l'Autore, S.R. Picooli, è riuscito in poche pagine a sintetizzare l'essenza della politica: nobile fine del buon governo e cinico uso di una pluralità di mezzi per raggiungerlo. Mezzi descritti con estrema chiarezza e dovizia di particolari, attingendo l'ispirazione ai testi dei maggiori pensatori politici della modernità (Machiavelli, Guicciardini, Mazzarino) e ad una breve esperienza dell'Autore medesimo nei "palazzi" del potere.

Il secondo motivo riguarda lo stile letterario utilizzato. Uno stile aulico e comprensibilissimo, unico in grado di sublimare e rendere godibile la fredda e rude descrizione di comportamenti che, in realtà, suscitano orrore in chi ritiene che le virtù politiche vadano commisurate non solo all'esito delle azioni che si compiono, ma anche alla qualità delle persone che le esplicano.

Il terzo motivo è che la pubblicazione del testo nell'attuale fase politica fa emergere l'ipocrisia di chi (e sono tanti!) attacca i vizi più vistosi della cosiddetta "casta", ma nasconde bene o non vuol vedere il livello altissimo di cinismo che caratterizza, in modo generalizzato, i comportamenti delle persone impegnate in politica.

Il quarto motivo è che condivido con l'Autore – avendo anch'io frequentato per brevi periodi i luoghi della politica - la repulsione per le regole informali, ma ferree, in vigore nell'agone politico, descritte come in una sorta di autoterapia individuale per oggettivare la causa del malessere che queste producono, e potersene definitivamente liberare.

Alcuni studiosi hanno tentato di tessere l'elogio del cinismo politico, distinguendo il "cinismo dei fini" del totalitarismo dal "cinismo dei mezzi" del liberalismo democratico: nel primo caso ogni mezzo è giustificato dall'obiettivo di giustizia che si vuole realizzare; nel secondo, al contrario, i mezzi sono in qualche modo anche un fine a sé, almeno nel senso che fine sono anche "i diritti fondamentali dell'individuo" che l'azione deve sempre e comunque preservare. Per costoro, sarebbe la necessità di creare consenso l'elemento che accomunerebbe le democrazie totalitarie e quelle liberali. Ma sarebbe il "cinismo dei mezzi" a rendere il liberalismo lo strumento migliore per esercitare il cinismo politico.

Secondo questa visione, il politico sarebbe costretto a manipolare scientemente la realtà al fine di mantenere l'integrità della sua idea di giustizia per ricercare il consenso. Esagera i lati positivi o negativi di una certa riforma, o di una legge, o di un fenomeno sociale per convincere l'elettore. Oppure mente deliberatamente per poter conseguire un fine che gli elettori non potranno fare altro che apprezzare. Insomma, la menzogna del politico sarebbe giustificata quando questa gli permette di trascendere la realtà data e di prefigurare con la mente i suoi possibili sviluppi futuri, le sue nuove conformazioni.

Ma pur volendo seguire tale impervio percorso e delimitare gli spregiudicati e abietti mezzi, adoperati dal politico per conquistare e gestire il potere, al mero esercizio della menzogna programmata, mi chiedo se tale comportamento non metta comunque in discussione la fiducia nell'interlocutore e, dunque, la possibilità di ricercare un consenso effettivo e consapevole? Il dibattito pubblico su valori e scelte nelle democrazie liberali non dovrebbe avvenire su basi di sincerità e verità?

Già i greci e poi i cristiani distinguevano una parresìa (parlare franco, dire tutto) positiva e una negativa per non confondere la sincerità con il parlare a vanvera, il dire qualsiasi cosa si pensi senza avere adeguata cognizione di quel che si dice. E alcuni hanno suggerito di esercitare una parresìa più vicina al silenzio, alla meditazione, al dubbio, alla problematicità, all'ascolto dell'altro per evitare sia l'immoralità della menzogna che la stupidità del chiasso e ottenere così un dialogo pubblico più vero.

Ma Michel Foucault va ancora più a fondo e afferma che la parresìa è il "coraggio della verità". Secondo questo pensatore, la parresìa, a differenza della retorica, non è una tecnica, non è una strategia discorsiva, non è un mestiere. La parresia è qualcosa di più difficile da definire, una sorta di «nozione-ragno» (notion-araignée) che implica un atteggiamento, un modo di essere simile alla virtù, un ethos.

Può la verità assumere un ruolo in ambito politico e nei rapporti di potere? Per Foucault è possibile, ma bisogna stabilire, nell'ambito della democrazia, un certo numero di condizioni etiche che fanno appello alla dimensione morale individuale. Per questo egli torna alle radici della filosofia greca, rivalutando l'idea di democrazia contrapposta a ogni forma di tirannia.

Intervenendo in un convegno nel 1984, Norberto Bobbio rilevò che "il contrasto tra etica e politica nell'età moderna è, in realtà, sin dal principio, il contrasto tra la morale cristiana e la prassi di coloro che svolgono l'attività politica".

Oggi le credenze delle persone e dei gruppi umani vanno oltre la dimensione religiosa. E le società contemporanee diventano sempre più multiculturali. Nella nuova condizione, la sfera etica non può dunque essere ricacciata solo nel privato, ma deve potersi manifestare anche nell'ambito pubblico.

Si tratta allora di far maturare nella società un'etica condivisa, che riguardi anche la politica e le sue modalità e metta in discussione i pilastri del pensiero politico moderno. Ma di questo non si discute nel dibattito pubblico. Ci si limita a indignarsi solo per i fenomeni più vistosi di corruzione, senza voler vedere l'arida e desolante realtà dei comportamenti quotidiani adottati nella competizione politica, che costituisce l'acqua di coltura dei fenomeni illegali.

Breviario del giovane politico ha il pregio di sollevare il velo d'ipocrisia che copre l'agire politico. E la realtà nuda e cruda che descrive, potrebbe suscitare – me lo auguro di cuore - l'avvio di un dibattito sulle questioni di fondo che andrebbero affrontate, per non rimanere condannati a vita alla superficialità e al pressappochismo.



Consiglierei ai più giovani, ma non solo, la lettura di un un piccolo gioiello stilistico, opera di Roberto Piccoli. Si intitola Breviario del giovane politico ed è una raccolta di pensieri sulla pratica della politica, partendo dalle lezioni dei maestri Guicciardini, Machiavelli e Mazzarino. E' un testo corto ma non facile, decisamente originale nei contenuti ma soprattutto nella forma. Qui la presentazione dell'autore. Ma il libro è molto più interessante di quanto dice lui.






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